Il Sud chiama e lo Stato non risponde

Lo Stato italiano, al sud, non esiste.

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O, perlomeno, è scomparso in maniera piuttosto prematura. Sentir parlare esponenti politici – tra gli ultimi, lo sconfitto candidato alla segreteria PD, Michele Emiliano – di quanto il sud sia importante e di come si debba ripartire dal Meridione per migliorare la situazione del Paese, sa di ipocrita e suona come una sottile presa in giro, l’ennesima, da parte di uno Stato che non si è mai immerso compiutamente nella questione meridionale, limitandosi a qualche azione di facciata in vista delle tornate elettorali più prossime.

I nuovi flussi migratori, che partono dal sud e si dirigono verso molteplici destinazioni, tanto italiane quanto estere, dimostrano che da Roma in giù la situazione sia definitivamente degenerata, lasciando presagire che il sud si stia avviando all’atto conclusivo di una decadenza apparentemente inarrestabile. Tuttavia, i presupposti per un successo economico del Meridione c’erano. Già industrializzato, al momento dell’Unità, ricco di bellezze naturali di ogni genere, oltre che di capolavori artistici disseminati dappertutto, con un’abile promozione, ed anche un’accorta cultura dell’ospitalità, il sud avrebbe potuto fiorire, ed invece si è arenato sul difficile scoglio della nuova sfida storica. Come se ciò non bastasse, lo Stato italiano continua a vessare il Paese intero con potenti strette fiscali, inefficienti politiche sociali – un esempio, la gestione dei migranti africani – ed una giustizia che permette a chi delinque di uscirne pulito, o quasi. La criminalità organizzata, tanto al sud quanto al nord, spadroneggia senza incontrare una vigorosa opposizione: la Calabria è sotto il pesante giogo della ‘ndrangheta, Napoli dipende dalla Camorra e la Sicilia cade in pezzi, per via di una classe politica corrotta ed invischiata in ripetuti scandali. A ciò si aggiunge il progressivo impoverimento delle imprese presenti sul territorio, ad oggi esigue e spesso a rischio di sopravvivenza, a causa del fisco esoso di cui si parlava sopra.

Sembra ormai che le speranze dei meridionali siano svanite. Credere in un futuro, lavorativo ed affettivo, nella propria terra, è un sogno ben lungi dall’avverarsi. Alcuni, soprattutto tra le generazioni precedenti, quelle nate negli anni ’60 e ’70, ritengono che le cose rimarranno immutate, come in un contrappasso di sapore vergitalia_divisahiano. Per molti, il Governo è un nemico avido, atto a razziare gli esigui risparmi rimasti, ed a pretendere soldi coi quali non riesce a garantire neanche un servizio pubblico decente. Da Napoli a Palermo la sanità è un problema endemico, nonostante ci sia anche personale adeguato che si ritrova senza le attrezzature necessarie. Giusto a titolo d’esempio, l’Ospedale Mariano Santo di Cosenza, l’estate scorsa, ha dovuto chiedere aiuto ai propri dipendenti per garantire il corretto mantenimento delle cure mediche, soprattutto per quanto riguardava garze e detersivi, triste fatalità che coinvolge anche il settore scolastico meridionale. La presenza dello Stato al meridione sembra quasi una parata neroniana, sorrisi, discorsi zelanti, mentre i partiti calcolano la loro presenza sul territorio, come se il popolo fosse ridotto a mero serbatoio di voti. Tuttavia, il popolo meridionale ha dato un chiaro segnale di risveglio: chiamato ad esprimersi sul referendum del 4 dicembre, ha quasi disertato le consultazioni, astenendosi e facendo registrare un’affluenza bassissima. Inoltre, ha optato per negare una riforma che, in teoria, avrebbe snellito l’esercizio del potere in questo paese. Alcuni hanno millantato un palese sgambetto all’esercizio della democrazia, altri hanno gridato all’ignoranza ed all’arretratezza meridionale. E se invece fosse stato semplice fatalismo? E se, dopo anni di soprusi e inefficienze, i meridionali non si fidassero più di chi governa anche per loro?
Vero è che molti lavoratori, al sud, non hanno la massima professionalità: poca adattabilità sul posto di lavoro, responsabilità ed un alto assenteismo gettano un’ombra sulla classe lavorativa meridionale. C’è da dire, però, che le condizioni economiche della regione ed una scarsa tutela della legge, spingono le prede a cercare di sopravvivere dai predatori. Nel senso che, gettati in una situazione di generale precarietà, molti lavoratori preferiscono salvare il salvabile, anche se questo significa arrecare danni alla comunità.

Speranza: il Sud l’ha persa ormai molto tempo addietro. E lo Stato non ha cercato minimamente di provare a dargliene una. In Sicilia, ad esempio, pur di non intervenire duramente contro il fenomeno mafioso, ha preferito sacrificare le due pedine chiave della lotta alla criminalità, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed ha inoltre avviato trattative di pace con le suddette associazioni criminali.* In Campania, invece, ha fatto peggio, quando, a distanza di quattro anni dal disastroso terremoto in Friuli, mise mano alla ricostruzione dell’Irpinia, nel frattempo rasa al suolo da un altro disastroso terremoto. Lì, invece di puntare ad rilancio anche economico della zona, ha preferito speculare a livello bancario ed immobiliare, ricostruendo senza che ci fossero persone disposte a tornare a vivere lì, e che anzi sono state invitate ad andare via attraverso la svendita dei biglietti d’aereo per l’estero. Oggi, l’Irpinia non cattura neanche gli immigrati africani. Un recente reportage dell’Espresso, infatti, segnalava come perfino i braccianti, che vivevano a Castelnuovo di Conza e lavoravano ad Eboli, se ne fossero andati in cerca di migliori fortune. Non che ad altre zone del sud sia andata meglio: Basilicata e Calabria stanno vivendo un graduale spopolamento, mentre la Puglia è riuscita ad arrangiarsi sapientemente attraverso un’ottima campagna di promozione pubblicitaria.

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Ecco perché serve uno Stato forte, in grado di cambiare la propria immagine e posizione dinanzi alla sua gente. Serve uno Stato innanzitutto più snello burocraticamente. La legge italiana non dà una vera e propria certezza di pena. Ad esempio, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro scontarono appena 20 anni di carcere per l’attentato che nel 1980 cancellò la stazione di Bologna, ed oggi entrambi vivono da uomini praticamente liberi, con una richiesta di risarcimento nei confronti dello Stato che esiste soltanto sulla carta, in quanto non hanno abbastanza soldi per ripagarlo. Eppure – anche se non si sa ancora con certezza – quella coppia ha provocato un attentato che costò la vita a centinaia di persone che non erano colpevoli di nulla. Inoltre, vincere un processo è fin troppo semplice; se non si possono inquinare le prove, si possono invalidare i testimoni: il celebre avvocato cosentino Fausto Gullo riuscì a vincere una causa per rapina a mano armata, semplicemente facendo cadere il teste con una domanda. Egli chiese al testimone quali portiere i ladri avessero aperto per entrare all’interno dell’auto, e l’altro rispose che usarono quelle posteriori. Peccato l’auto avesse tre porte.

Oltre a questo, serve uno Stato, al sud, in grado di tutelare e difendere la legalità: non è possibile che i negozianti che denunciano estorsioni nei loro confronti vengano emarginati dagli altri, perché hanno sfidato cosche e ‘ndrine. Serve, anche, maggiore forza e meno tolleranza nei confronti del fenomeno mafioso, in quanto vero e proprio cancro della società nel suo insieme.
Infine, è necessario attirare capitali internazionali: la visibilità e la bellezza delle coste meridionali sono un’interessante opportunità per qualsiasi investitore, tanto italiano quanto estero. Tuttavia, fin quando a livello fiscale ci sarà questa ostruzione, sarà difficile incitare investimenti di qualsiasi genere. Agevolazioni ed una tassazione meno brutale sono un altro pezzo del puzzle: resi più fiduciosi nei confronti dello Stato, grazie alla tutela della legge ed al controllo capillare del fenomeno mafioso,  una politica fiscale espansiva potrebbe incentivare un aumento dei consumi e successivamente degli investimenti. Lidi di maggiore qualità, stazioni sciistiche di un buon livello, soprattutto in Calabria, per rivaleggiare con l’Abruzzo, o più in generale un settore terziario che coccoli i visitatori, incitandoli a tornare. Tutto ciò, però, non può avviarsi senza un cambiamento psicologico a livello di popolo. Se la situazione continua a rimanere quella attuale, è difficile che il meridione risponda in positivo.

Ciò che politici ed economisti stanno dimenticando, al giorno d’oggi, continuano ad essere le persone. Tuttavia, il meridione si può risollevare soltanto ripartendo da loro. I meridionali vogliono lavorare, altrimenti non lascerebbero in massa la propria terra. Tuttavia, senza uno Stato consistente, qualsiasi provvedimento o intervento in aiuto del Sud, verrà recepito male e non avrà successo. Ripartire, dal popolo del meridione.

Bisogna creare una nuova speranza.

 

 

* Vi è una indagine in corso e questo è ciò che viene sostenuto dall’accusa

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